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La violenza sulle donne in un libro di Claudia Cangemi

20 novembre 2019 – Un argomento tanto scomodo quanto attuale. È l’anima di “Non ti lascio alla notte” (Giovane Holden Edizioni, ottobre 2019), la settima e più recente opera letteraria di Claudia Cangemi, aresina doc, giornalista e nota scrittrice in prosa e in poesia. A presentare il romanzo in anteprima assoluta sabato 23 novembre alle 18 al Centro civico Agorà, di via Monviso 7, nell’ambito delle iniziative dell’amministrazione comunale per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sarà la stessa autrice, in dialogo con l’assessore alla Cultura, Politiche del lavoro e Società partecipate Giuseppe Augurusa.

Ecco come ne parla l’autrice. “Un libro che parla di un femminicidio. L’immagine di copertina è il primissimo piano di un volto di donna, bello ma insanguinato. Elementi che possono suscitare una reazione infastidita, dove alla curiosità si mischia il disagio di fronte a una realtà che ci addolora e ci trasmette allo stesso tempo un senso di impotenza, unito alla tentazione di distoglierne lo sguardo e il pensiero. È ciò che accade anche a me ogni qualvolta (terribilmente spesso purtroppo) mi imbatto nell’ennesima notizia di una donna uccisa dal compagno o dall’ex. Occuparsi di tragedie è il più importante effetto collaterale della mia professione di giornalista di cronaca in un quotidiano, un lavoro che riempie le mie giornate da quasi 34 anni. ‘Ci sarai abituata ormai!’, direte voi. No, ve lo confesso: purtroppo o per fortuna, a certe cose non si fa mai il callo. O almeno io non ci riesco. E ogni volta mi ritrovo di fronte all’inadeguatezza della parola giornalistica per dire di un simile dramma. Un assassinio che si consuma in pochi atroci attimi ma che ha sempre un ‘prima’ e un ‘dopo’ non meno terribili e tanto lunghi e complessi da non poter certo trovare spazio su una pagina di giornale”.

“Poi magari ti capita di conoscere persone che hanno vissuto da vicino esperienze simili, una sorella o un’amica uccisa da chi diceva di amarla. O altre donne che hanno subìto violenza, pur non arrivando all’epilogo più tragico. Nel segreto e nel silenzio, spesso. Come se a vergognarsi dovesse essere la vittima, invece che il violento. E allora cominci a interrogarti su come può accadere che in una coppia o una famiglia apparentemente ‘normale’ possa allignare il seme velenoso del possesso e della sopraffazione, dell’odio travestito da amore”.

“E allora, anziché distogliere lo sguardo da questa piaga dei nostri tempi, ho deciso di provare a immergermi in una storia di femminicidio, a raccontarla ‘dal di dentro’ e soprattutto dall’inizio alla fine, dalle sue origini alle sue conseguenze. Non ti lascio alla notte non è solo la storia di un atroce delitto, ma quella delle famiglie e delle persone distrutte da quel gesto, e che pure devono trovare il modo di sopravvivere. Al dolore, alla rabbia, ai rimpianti e ai sensi di colpa. Impresa assai ardua per un adulto, proibitiva per un bambino. Un bambino come Davide che ha perso in tenera età e in un attimo entrambi i genitori: la madre Simona uccisa, il padre Stefano in carcere. Ad assumersi il compito ingrato è la sorella di Simona, Chiara, che adotta il nipotino inserendolo nella propria famiglia e sconvolgendone i precari equilibri. E quando il dramma, dieci anni dopo, torna a bussare a quella porta, Chiara decide di battersi con tutte le sue forze per ‘non lasciare alla notte’ i due ragazzi che tanto ama: il nipote Davide e la figlia Francesca. E neppure la memoria di quella sorella che sente di non aver amato ‘nel modo giusto’”.

“Ma non c’è solo la storia delle vittime, nel mio romanzo. Ho scelto di provare a immaginare anche quella dell’assassino. Pur con disagio e difficoltà, ho cercato di immedesimarmi in un uomo travolto dalle proprie emozioni e incapace di spezzare la catena del disamore. Qualcuno mi ha suggerito di togliere quella parte, pensando potesse urtare la sensibilità di qualche lettore, o più probabilmente lettrice. Ci ho riflettuto e ho deciso di mantenerla. Non per ‘giustificare’ l’uomo o il gesto, ma perché credo che una storia, per essere completa e convincente, vada raccontata dal maggior numero di punti di vista. E soprattutto perché da quando mi ricordo ho sempre desiderato ‘capire’ la realtà e le persone, nel senso etimologico di ‘contenerle’ in me, per restituirle ai miei lettori arricchite del mio empatico sforzo di comprensione e interpretazione. Che ci sia riuscita bene o meno, potrete dirlo solo voi lettori. E spero vorrete farlo”.

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