15 novembre 2016 – “Ho visto che tu, assessore del Pd, non hai sottoscritto il documento a sostegno del Si al referendum costituzionale”. “E’ vero, e se vuoi posso anche spiegare i motivi della scelta, perché le battaglie politiche le faccio sempre a viso aperto e pubblicamente”. Nasce così questa chiacchierata con Giuseppe Augurusa, assessore, appunto in quota Pd, a Politiche del lavoro, Sviluppo e Attività di impresa, Partecipate e controllate, Cultura e Attuazione Accordo di Programma ex Alfa Romeo. Che spiega come è nata la scelta di votare No, in contrapposizione alle indicazioni del suo partito, al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. “Sono un paio di mesi – inizia Augurusa – che sto leggendo attentamente la riforma, confrontandola con quanto è scritto oggi nella Carta Costituzionale. E questo mio esame mi ha portato alla conclusione che voterò No sia per ragioni di metodo che per ragioni di merito”.
Prima di affrontare le questioni di metodo e di merito, parliamo però di come questa scelta è stata recepita a livello di circolo aresino del Partito Democratico: “Tra i miei compagni di partito – racconta Augurusa – c’è stato indubbiamente un certo stupore, ma anche della cordialità. Buona parte di loro si è detta dispiaciuta della mia scelta, ma siccome nel Pd di Arese, salvo qualche raro e deprecabile episodio nel corso delle elezioni 2012, c’è una forte tradizione di rispetto delle posizioni anche diverse la situazione non mi è stata fatta pesare in alcun modo. E di questo sono riconoscente ai miei compagni di partito, perché frequentando in queste settimane altri esponenti dell’area milanese del Pd che hanno aderito al No, ho potuto constatare come in altre sezioni siano stati fatti oggetto di ostracismo. Questo, e lo voglio sottolineare, ad Arese non è accaduto. Fermo restando che il tema è di caratura nazionale, anche in amministrazione ho potuto verificare come la mia posizione contro corrente non abbia rappresentato un punto critico, e questo mi conferma che la giunta aresina è fatta di donne e uomini liberi, capaci di fare delle scelte e di accettare quelle degli altri. Comunque attendo con curiosità il voto, perché come ricordava Altan in una sua recente vignetta sarà interessante vedere quanti di coloro che dicono di votare si voteranno no e viceversa”.
C’è la possibilità che l’esponente del Pd arrivi poi all’estremo delle sue considerazioni e aderisca al Comitato per il No? “Premetto – dice Augurusa – che mi crea imbarazzo votare la stessa cosa di Berlusconi, Grillo e Salvini perché, ancorché per ragioni diverse, io non voto perché cada il governo. So però che voterò comunque anche come molti che hanno le mie stesse idee e principi. Provo però a ribaltare il problema e chiedo: è il fronte del No che è troppo largo o quello del Si che è troppo stretto? E questo merita una seria riflessione. Il fronte del Si ha comunque al suo interno pezzi noti del centrodestra, che sono in parte al governo, e altri che, almeno per il momento, non ci sono. Per rispondere poi alla domanda, confermo che due esponenti locali del fronte del No, immagino su iniziativa personale, mi hanno chiesto di aderire al loro Comitato. Io ho però risposto a entrambi che per lealtà al partito dichiarerò il mio voto contrario ma non parteciperò a nessun Comitato per il No. Ho però aderito a una lettera aperta al Pd sottoscritta da semplici iscritti, amministratori e dirigenti del partito, nella quale si invitano gli aderenti a votare No. Ci sono altri esponenti del Pd che aderiscono ai Comitati per il No, ma io credo che quando stai all’interno di una comunità devi comunque rispettarla, rivendicando però la libertà di coscienza, almeno finche ne condividi le questioni fondamentali”.
Detto di come è stata accolta a livello locale la scelta di Augurusa, veniamo dunque ai suoi rilievi di metodo: “Secondo me – sostiene l’assessore – le regole fondamentali vanno scritte insieme e condivise con il maggior numero possibile di persone. Questo non vuol dire che tutti devono essere d’accordo, ma sarebbe auspicabile che lo fosse almeno fosse almeno una maggioranza qualificata del Parlamento. E non è la situazione attuale, perché a sostenere la riforma è circa il 55 per cento delle due Camere, il che significa che stiamo cambiando la Carta fondamentale della Repubblica ancora una volta a colpi di maggioranza. Io non credo che questo sia giusto, perché la Costituzione, come accaduto all’uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, deve unire il Paese e non dividerlo”.
La seconda questione di metodo riguarda la necessità di fare una riforma a tutti i costi: “A differenza di una legge ordinaria – dice Augurusa – il senso di una regola fondamentale è che ci siano i presupposti per cambiare. Questa è una questione centrale. Il tema della riforma purché sia, derubricando l’incomprensibile tema del rapporto tra crescita e riforma alla pura propaganda, non mi convince. Io che provengo da una cultura riformista di sinistra credo non si possa prescindere dalla qualità di una riforma, perché nella mia cultura le riforme sono quelle che portano progressi e non regressi, altrimenti sono controriforme”.
La terza obiezione di metodo riguarda il modo nel quale, probabilmente anche per scelta iniziale dei promotori, è stata presentata la consultazione: “Quello del 4 dicembre – sostiene Augurusa – non è più un referendum ma un plebiscito. Io non sottopongo una riforma costituzionale a plebiscito e quindi continuo a votare sul merito delle questioni. Per la semplice ragione che la Costituzione viaggia su tempi medio lunghi e quindi non può essere piegata ai destini di un governo. La mia non è scelta fatta a cuor leggero, perché votare No vuol dire votare in modo diverso da una parte rilevante della mia comunità politica, anche se credo che questo aspetto coinvolga principalmente i dirigenti, perché la base forse non la pensa completamente come loro. Mi dispiace poi vedere come il mio partito stia contraddicendo se stesso, perché nella Carta dei valori del Pd c’è un articolo che dice che non si sarebbero più fatte riforme a colpi di maggioranza, intervenendo sulla riforma dell’art.138 della costituzione vigente, e io mi attengo a questo. Tra l’altro non è vero che la Costituzione non è mai stata riformata, solo negli ultimi 15 anni la si è modificata tre volte proprio a a colpi di maggioranza, ed è stato un fallimento. Coerenza vorrebbe che non facessimo esattamente il contrario di ciò che volevamo riformare”.
Elencate le ragioni di metodo, l’assessore passa a quelle di merito: “Nel merito voterò no – spiega Augurusa – perché credo che questa riforma non faccia quello che dice di voler fare. Io credo che la democrazia sia il punto di equilibrio tra rappresentanza e stabilità. Quando c’è un eccesso di stabilita ma non c’è rappresentanza sei in una dittatura; all’estremo opposto quando c’è un eccesso di rappresentanza ma poca stabilità si è in anarchia. In questa riforma, che non porta né alla dittatura e né all’anarchia ovviamente, io vedo uno spostamento significativo verso la stabilità, a scapito della rappresentanza. Credo anche che non si aumenti la partecipazione dei cittadini togliendogli il voto per il Senato. E a questo proposito dico anche che con questa riforma non si da più voce più ai territori, perché in realtà a mio parere siamo in presenza delle più grande operazione di centralizzazione antifederalista dal secondo dopoguerra”.
Augurusa entra poi nel dettaglio, spiegando perché secondo lui l’abolizione del Senato presenta più lati oscuri che vantaggi: “Ribadisco che a parer mio – quella che stiamo facendo è un’operazione contro i territori e non a loro favore. La riforma introduce un combinato micidiale tra Senato di nominati e clausola di supremazia, superando la legislazione concorrente. Dire che tutto questo sarà compensato da un Senato espressione dei territori è falso. Coloro che sederanno in Senato non saranno espressione dei territori ma dei partiti che li hanno nominati. E’ utopico pensare che questi questi signori, traghettati a Roma dai partiti, risponderanno alle Regioni e non ai partiti che li hanno nominati”.
La riforma del Senato non convince Augurusa nemmeno dal punto di vista tecnico: “Si prefigurano già – sostiene l’assessore – numerosi conflitti di attribuzione di competenze tra Camera e Senato. Lo si capisce dalla complessità dell’Articolo 70 e dal suo livello di dettaglio. Secondo la riforma i conflitti dovrebbero essere risolti dai presidenti dei due rami del Parlamento e in caso di mancato accordo probabilmente dalla Corte Costituzionale. Io non credo, visto quello che immagino accadrà, che questa riforma snellisca i tempi dei processi legislativi, semmai vi sono i presupposti affinché li complichi spostando i conflitti Stato – Regione (buona parte dei quali risolti a beneficio delle regioni in questi anni), a Camera – Senato, ovvero alla Corte Costituzionale. Anche il tema della velocità meriterebbe poi una riflessione: è vero che complessivamente oggi le leggi ci mettono molto a uscire dal parlamento, ma il problema è politico, non funzionale. Il problema non è la velocità ma la bulimia amministrativa. Si fanno troppe leggi e fatte male, leggi che lasciano sempre molti margini interpretativi e che quando arrivano nella Pubblica Amministrazione diventano spesso degli oggetti misteriosi. Ribadisco quindi che il problema non è fare le cose in fretta ma farle bene. Questa riforma mi sembra che ci faccia superare il bicameralismo perfetto per arrivare a un bicameralismo confuso. Se si voleva dare un segnale in tema di costi della politica, forse sarebbe stato meglio ridurre il numero dei deputati, stante il grande disequilibrio, domani in ipotesi, esistente tra Camera e Senato. Su questo tema credo imperi il populismo, e mi dispiace vedere come ci si sia fatto trascinare anche il mio partito. I costi della politica e i costi della democrazia sono due cose ben diverse, non scordiamocelo. Faccio infine notare che questa riforma ci porterà anche alla possibilità di avere due camere a maggioranza variabile e potenzialmente diversa, perché a ogni rinnovo di consiglio regionale, che spesso temporalmente non coincide con il rinnovo della Camera, saranno cambiati anche i senatori della regione che va al voto. E non è detto che a vincere sia sempre la maggioranza uscente. Ci mancava solo questo per aumentare ulteriormente la confusione!”.
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