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Seregni: “Perché non condivido la gestione dei profughi”

10 novembre 2016 – Massimiliano Seregni, oggetto di critiche sui social per le sue posizioni in merito alle politiche di accoglienza dei migranti votate dal nostro consiglio comunale (leggi qui), ha pubblicato un lungo post sul suo sito (vedi qui), poi diffuso ai giornali, dove approfondisce le ragioni del suo dissenso. “Come noto – esordisce Seregni – non ho paura di difendere pubblicamente le mie idee e di argomentarle  e questo vale anche per la vicenda dei migranti e del progetto Sprar votato in consiglio comunale. Non condivido la gestione dei sedicenti profughi che si è trasformato in un business milionario per le cooperative e continuerò a ripeterlo anche se questo non piace a tutti coloro che non perdono occasione peraccusare di razzismo chiunque analizza i dati ufficiali e mette in dubbio  l’intero sistema di gestione del problema”.

Seregni torna poi sull’affermazione del sindaco, Michela Palestra, che i profughi ospitati ad Arese saranno al massimo una decina e che si tratterà di persone delle quali sono note  generalità, origine e storia personale. “A parte la curiosa idea di poter selezionare delle persone sulla base di ignoti criteri – dice Seregni – è doveroso evidenziare che le ‘garanzie verbali’ del sindaco non sono affatto contenute nel documento votato in consiglio comunale e quindi non vincolanti per chi ufficialmente presenterà il progetto (Sercop) e per il soggetto attuatore (Cooperativa). E anche il tentativo di giustificare la decisione sostenendo che in questo modo il Prefetto non sceglierà il territorio di Arese per la gestione di eventuali ordinarie ‘emergenze’, appare smentito dallo stesso documento laddove si precisa che tale misura è un mero tentativo in quel senso, senza che vi sia in merito alcuna certezza. Asserire che lo Sprar rappresenterebbe il ‘secondo livello’ di accoglienza per sostenere così che le persone che accederanno a tale ‘circuito’ saranno titolari di una storia ‘conosciuta’ significa voler nascondere ai cittadini il reale funzionamento del sistema di accoglienza, i suoi limiti, i suoi numeri e i suoi tempi”.

Seregni propone poi una valutazione economica in merito al sistema di accoglienza italiano. “Dalla lettura della normativa – dice – apprendiamo anche altre cose: esisterà un soggetto attuatore (ossia una cooperativa) che, come noto, incasserà circa 35 euro al giorno per ogni persona ospitata; i richiedenti asilo potranno essere ospitati in appartamenti privati, facile immaginare che qualcuno potrebbe trovare interessante acquisire a buon mercato, visto l’andamento dei prezzi, i numerosi immobili vuoti  per poi attivarsi tramite le cooperative ed inserirli nel circuito. Facciamo due calcoli della serva: 35 euro al giorno per persona andranno alle coooperative per la gestione di ogni sedicente rifugiato. Di questi facciamo finta che 10 euro saranno destinati all’appartamento, il resto ossia 25 euro, per i vari servizi offerti dalla cooperativa. In un trilocale è possibile immaginare di ospitare sei persone, che a 10 euro al giorno frutterebbero 60 euro, ovvero 1.800 euro al mese e 21.600 euro in un anni. Ebbene, di solito agli albergatori vengono riconosciuti anche 20/25 euro di quei 35. Non male come investimento visto il costo degli immobili oggi e la garanzia che verrebbe offerta dalla gestione tramite le cooperative. Ipotizziamo che qualcuno compri un immobile a 216.000 euro si avrebbe in un anno un rendimento assicurato del 10 per cento. Da rilevare poi che una volta ospitati anche i richiedenti asilo, in attesa dell’analisi della loro domanda, saranno ovviamente residenti in Arese, accederanno a tutti i servizi comunali e sanitari, avranno diritto al pocket money giornaliero, a una somma per fare la spesa (se non sarà incluso il servizio mensa in quanto ospitati in appartamenti), abbonamento al trasporto pubblico, carte telefoniche prepagate, biancheria, vestiti. Essere residenti darà diritto anche all’accesso ad altri rilevanti diritti sociali tra i quali non dimentichiamo la partecipazione ai bandi per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica”.

L’analisi si conclude con una valutazione dell’utilizzo delle risorse disponibili, anche in considerazione del fatto che circa il 58 per cento dei profughi statisticamente si vede alla fine rifiutato lo status di rifugiato. “Quella del Sprar – conclude Seregni – rappresenta una situazione temporanea in quanto la permanenza massima nella struttura è di sei mesi, che viene prorogata di altri sei mesi considerati i tempi dell’esame delle richieste di asilo, dopo di che, scaduto quel periodo, sussisterà comunque il problema di una effettiva integrazione di quelle persone. E questo non tanto per quel 58 per cento che si vedrà rifiutato lo status di rifugiato e si darà alla macchia entrando nell’illegalità totale. Ma soprattutto di quella piccola percentuale di persone le cui domande saranno ritenute fondate e meritevoli di tutela. A ben vedere, grazie a questo ottuso sistema, chi non ha alcun diritto concorre direttamente a sciupare delle importanti risorse che, per logica, dovrebbero essere utilizzate per supportare e assistere chi davvero e giustamente scappa da qualcosa. Un immenso spreco di risorse che non saranno dunque impiegate per permettere ai veri rifugiati di costruirsi un reale futuro nel nostro paese ma che finiranno ad arricchire sempre più i bilanci di chi vede in questo sistema una fonte incredibile di business. Non a caso abbiamo cooperative che fatturano 6 milioni di euro all’anno e hanno trasformato in pochi anni la gestione dei migranti come il settore più rilevante della loro attività”.

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